Ho scelto questo argomento perché il momento del saluto è per me un momento sempre emozionante. C’è come un fluido che entra nel cuore, che direi tanto più potente e forte quanto più si è: infatti quando il Dojo è straripante
di Karateki, per esempio agli stages, si sente lo spirito di ognuno che si fonde con quello dell’altro, in un tutt’uno di condivisione. Ed il piacere di essere lì, insieme, tutti, per praticare, è estremamente coinvolgente. Si
percepisce il senso profondo del Karate Do.
Ogni volta che entriamo in palestra per allenarci (e sappiamo che per noi la palestra è chiamata DOJO, che però è qualcosa di più complesso del semplice luogo di allenamento:
ma di questo parleremo in un’altra occasione), facciamo un inchino di saluto; poi salutiamo di nuovo finito il riscaldamento e infine facciamo un saluto complesso guidati dal Maestro a fine allenamento.
Noi riconosciamo due
saluti: quello in piedi e quello in ginocchio. Il primo è il Ritsu
rei,il secondo è lo Za rei, che si raggiunge attraverso la posizione di Seiza. Spesso, in Seiza oppure in piedi, si pratica il
Mokuso. Il Mokuso è una meditazione, fatta nel totale silenzio: prima dell’allenamento serve per lasciare fuori del Dojo pensieri, preoccupazioni, emozioni estranee al contesto, per avere la mente vigile
e libera da dedicare all’arte marziale che si va a praticare; finito l’allenamento serve per riflettere su come si è praticato, sulle proprie emozioni, le proprie difficoltà e le proprie eventuali soddisfazioni.
Ricordiamo
i saluti che facciamo:
Shomen ni rei: saluto ai grandi Maestri di un tempo, ai grandi Padri del Karate. Anche il Maestro è rivolto verso l’immagine degli antenati (presente o immaginaria), con la schiena agli allievi
Sensei ni rei: saluto al Maestro. Il Maestro è rivolto verso gli allievi ed il saluto è reciproco
Senpai ni rei: è il saluto all’allievo più anziano, quello che sostituisce il Maestro quando è assente Negli stage avrete anche sentito e fatto un altro saluto: Otagai ni
rei, che è il saluto tra i praticanti.
Perché tutti questi saluti? Sono solo un rituale, una cerimonia educata di stile orientale?
Il M° Funakoshi, fondatore del karate Shotokan, ha scritto i venti precetti del karate. Il primo recita così:
“Il Karate inizia col saluto e finisce col saluto”. Se un grande Maestro pone al primo posto dei precetti del Karate proprio il saluto significa che è un atto fondamentale.
In verità il saluto rappresenta il cuore della cultura orientale e giapponese. In giapponese saluto si dice rei. Nell’ideogramma della parola rei c’è il simbolo della divinità, quindi c’è come qualcosa di sacro nel saluto.
Sicuramente c’è molto di simbolico.
Il saluto comprende una componente di educazione e cortesia, ma contiene anche i concetti di sincerità, rettitudine, rispetto di sé e dell’altro. Nell’arte marziale rappresenta un mondo
che collega tutti: se stessi, il Maestro, gli altri praticanti, la palestra come luogo quasi sacro, la stessa Arte Marziale .
Ed il praticante con il saluto manifesta la sua intenzione a percorrere e praticare la via (Il Do)
con una continua ricerca dell’equilibrio e del controllo dei propri sentimenti, in un ambito di continuo richiamo all’umiltà, alla disciplina e alla perseveranza. Nell’arte marziale il praticante saluta:
-Il luogo stesso della pratica;
– la pratica stessa per l’intermediario di una rappresentazione materializzata (per esempio l’immagine del Maestro)
-Colui o coloro che trasmettono questa pratica
Per i bambini, semplificherei il discorso dicendo: il saluto è un momento serio, un momento importante dell’allenamento. Iniziando l’allenamento col saluto ringraziamo il Maestro di essere con noi ad insegnarci la pratica, ci dichiariamo pronti e diciamo che lasciamo altri pensieri e le distrazioni fuori della palestra; promettiamo di comportarci bene, di non disturbare la lezione e di dare il massimo; ancora, con quel semplice gesto diamo rispetto, fiducia e stima al Maestro e ci prepariamo con umiltà ed impegno alla lezione, accettando le critiche, accettando le correzioni, che ci servono per crescere e migliorare. Quando finiamo, nel saluto pensiamo con rispetto ai primi Maestri, con rispetto ringraziamo il nostro Maestro, salutiamo anche tutti i compagni con cui abbiamo condiviso l’allenamento, nelle gare salutiamo gentilmente anche i nostri avversari.
Chiudo questo breve intervento ponendo una domanda: saluto = rispetto? Sì, il saluto è nel rispetto ed il rispetto inizia col saluto. Si, ma non come cerimoniale, bensì come simbolo. Col saluto esprimo anche rispetto. Il rispetto però non può restare teorico, va concretizzato. Come? Ascoltando il Maestro, seguendone l’insegnamento, quindi cercando di applicare le indicazioni ricevute e sforzandosi di correggere gli errori.
Rispetto è anche puntualità: puntualità nell’entrata in palestra, puntualità nei pagamenti, puntualità nell’iscrizione ad esami e gare. Cosa c’entra col rispetto, mi chiederete? Vi faccio un esempio: l’iscrizione ad una gara comporta che il nostro Maestro comunichi agli organizzatori il numero dei suoi partecipanti, ma anche età e cintura e talora peso in tempo utile affinché le griglie possano essere predisposte; inoltre il pagamento della partecipazione alla gara deve essere consegnato agli organizzatori in un tempo stabilito perché le gare comportano spese….
Un altro esempio (scusate la banalità, ma è con piccole cose che si fanno le grandi!): per i nostri esami vengono convocati i giudici, il cui numero è legato al numero degli esaminandi, e vengono acquistate le cinture da consegnare: come si possono fare queste operazioni se non si sa in tempo utile chi partecipa? Lo stesso stage pre-esame organizzato dal Maestro richiede di conoscere in anticipo i praticanti presenti perché possa essere preparato ad hoc in base alla preparazione degli allievi (differente cinture = differente livello).
Allora essere più precisi e puntuali significa rispettare l’impegno di chi si dedica per il migliore risultato possibile: in genere il Maestro, talora i suoi aiutanti.
Maria Luisa Caviglia – psicoterapeuta e consulente psicologica dell’A.S.D.Itai Doshin